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Cascina Fontana, il Barolo nel totale rispetto della tradizione.
E’ abbastanza ovvio che quando parliamo di questa meravigliosa terra la prima cosa che sfiora la mente è la parola Barolo. E’ oramai diventata un’eccellenza indiscutibile ma, come raccontano i vignaioli, di Barolo si è iniziato a parlare da qualche decennio.
A quanto pare da padrone qui lo faceva il Dolcetto, il vino comunemente bevuto e commercializzato. Da come mi raccontano Sandro Minella e alcuni produttori, quando le persone andavano a rifornirsi del vino dal contadino ci si riferiva soprattutto al Dolcetto. Infatti capitava che ti regalassero qualche bottiglia dicendo: questo non è da bere, mettilo via, solo per le occasioni…
Il rapporto ormai è nettamente cambiato e qui si parla ormai Barolese, scusate il termine ma amo neologismi. La cosa che mi ha colpito di più qui a Cascina Fontana è la coerenza stilistica, eleganza ed espressione di tutti i vitigni, che si tratti di Dolcetto, di Barbera o di Nebbiolo in tutte le sue espressioni.
Non credevo nemmeno che si potesse arrivare a tale eleganza nei vitigni come Dolcetto o Barbera. Fino ad ora mi si erano presentati in un’altra veste: strutturati, pieni, direi potenti. Almeno come li ho catalogati nella mia memoria.
Qui invece mi ritrovo ad assaggiare un Dolcetto d’Alba ’19 elegante, floreale, setoso e beverino. Mi piace come lo ha definito Marisa Bacher che ci ha accompagnati in questa affascinante degustazione: “petaloso”. Si vede che anche lei è appassionata del vino e dei neologismi proprio come me.
Un’altra sorpresa, Barbera d’Alba ’18. Un’annata piovosa ha conferito al vino la sua struttura più leggera e beverina ma di grandissima piacevolezza. Comunque, amante dei vini beverini, mi hanno affascinato tutti quelli dell’annata 2018 che ho assaggiato qui in Piemonte.
Langhe Nebbiolo ’18 di eleganza sopraffina, un bellissimo bouquet floreale, un vino elegante e dal tannino gentile. Poetico direi. Adoro in generale la immediatezza del Langhe Nebbiolo e questo vorrei che non mancasse mai nella mia cantina.
Barolo ’16 proviene da tre vigne diverse: Villero (Cru Villero) e Valletti (Cru Mariondino) nel comune di Castiglione Falletto, e Gallinotto (Cru Giachini) nel comune di La Morra. Ha una bellissima complessità, che rivelerà negli anni di affinamento in tutta la sua bellezza. Vino complesso, fatto nel vero rispetto della tradizione.
Certo, qui uno stacco di riflessione. Chi ha vissuto la terra, le vigne, la cantina, ha una visione ben diversa dalla mia. Spesso mi chiedo: come potremo parlare della “tradizione” se tutto si evolve costantemente a volte in modo troppo frenetico e anche anarchico, passando da uno stile all’altro? Solo negli ultimi vent’anni ho visto cambiamenti nel mondo del vino che mi portano a chiedermi: siamo sicuri che qualcuno veramente sappia come dovrebbe essere un vero Chianti Classico, solo per fare un esempio, visto che vivo in Toscana?
Classiche frasi: come facevano i bis-bis nonni. Ma tu hai presente cosa combinavano i tuoi bisnonni in quell’epoca? Ma pensi che gli alimenti avessero gli stessi sapori? Non mi riferisco solo al vino. Tradizioni secolari. Dice tutto e niente.
Come la “tradizione” della cucina italiana è stata reinventata in tempi molto recenti e i pilastri sono tutti i piatti poveri, anche il vino ha subito tutte le fasi del cambiamento. Ma da quel che si dice, nel Piemonte è stata mantenuta maggiormente l’identità. Discutibile, come tutto il resto. Per anni abbiamo bevuto Sangiovese e Nebbiolo da colori impenetrabili, eccesso di legno ecc.
Ma quando io dico nel rispetto della tradizione, per me è un modo di dire, che intende essere nel rispetto dell’uva, della vigna, della terra: il vino dev’essere franco, elegante, rispecchiare il territorio in un modo schietto ma sempre raffinato. Certo, questo comporta lavorare bene in vigna, l’utilizzo intelligente e non invasivo del legno e del cemento, che era in disuso ma migliora nettamente le caratteristiche organolettiche del vino. Se era questa la “tradizione” qui sicuramente siamo nel pieno del suo rispetto.
Ma parliamo dell’ultimo vino e poi della storia della famiglia Fontana.
Termino la degustazione con l’ultima chicca: il Barolo ’16 del Comune di Castiglione Falletto, una splendida espressione del Nebbiolo, un vino di grande potenziale, ancora chiuso e austero, non avrà fretta di schiudersi. Elegante, mostra tannino ben presente, quel tannino che negli anni diventerà velluto, un vino che per ora così si esprime: lasciatemi un po’ in pace. Pe chi sa vederlo in prospettiva è come un gioco divertentissimo di immaginazione. Lo amo già, in tutte le sue versioni che ci svelerà di se negli anni. Il vino è anche intuito, specialmente per chi degusta tanto.
E’ la sesta generazione quella della famiglia Fontana alla quale viene tramandata questa splendida attività, un dono direi. Cascina Fontana, situata sulle magnifiche colline delle Langhe oggi è nelle mani di Mario Fontana, che continua in modo esemplare le tradizioni di famiglia.
Iniziò tutto dalla passione per il vino che ha trasmesso nonno Saverio a suo nipote Mario Fontana. Nel 1990 il padre di Mario compra 2,5 ettari, vigne Villero e Valletti dalle sorelle Fontana, ma poco dopo nel 1994 Mario lascia il padre per seguire il proprio percorso e inizia a lavorare con i suoi vigneti, ripartendo praticamente da zero. Non imbottiglia il vino nel ’95 e la prima vera e propria annata della Cascina Fontana esce nel ’96.
Nel ’08 il suocero di Mario, il ben noto produttore Mascarello, gli dona la vigna La Morra (vigna Gallinotto/cru Giachini). Ad oggi l’azienda è proprietaria di 5 ettari di vigneti nei comuni di Castiglione Falletto (Vigna Valletti-Cru Mariondino, Vigna Villero-Cru Villero e Vigna del Pozzo), La Morra (Vigna Gallinotto/cru Giachini) e Sinio (Vigna del Castello).
“I miei antenati coltivarono queste terre prima di me e, grazie al loro lavoro, io oggi sono in grado di produrre questi vini.” Sono splendide parole di Mario, che è riuscito grazie alla sua storia, esperienza, filosofia e conoscenza profonda del territorio a creare vini di grande personalità, complessità ed eleganza.
I produttori conoscono la loro terra decisamente meglio di me, ma penso che quando si tratta di “Grandi Vini”, come questi, c’è sempre un impronta personale. Nelle aziende a conduzione famigliare i vini rispecchiano le persone che lo producono. Ci vuole conoscenza, sensibilità, ma anche gusto. Di fatto è così. E quando il produttore ha le idee chiare, nei vini ritroverai sempre il filo conduttore che ti ha fatto innamorare delle sue creazioni: la considero la sua impronta artistica.
E nessuno ti vieta di sperimentare. A proposito degli esperimenti, nel 2015 Mario ha dato via alla sua prima vinificazione senza solfiti aggiunti nei tini di vetroresina aperti, quindi fermentazione spontanea e macerazione sulle bucce con parte dei raspi per circa 15 giorni, di un nebbiolo da vecchi vigneti di 60 anni a La Morra e Castiglione Falletto, un vero vino Triple “A”, che sta per Agricoltori-Artigiani-Artisti.
Non ho avuto occasione di assaggiarli ma sicuramente riuscirò a raccontarvi anche la mia esperienza con “Triple A”.
Non smetterò mai di ringraziare Sandro Minella che mi sta aiutando nel miglore dei modi a scoprire questo splendido territorio. Una valida e professionale guida, una risorsa inesauribile che ama e conosce la sua terra come pochi. Seguitelo sulla sua pagina Facebook “Taste Your Way” e vi aiuterà a essere aggiornati su tutte le novità enogastronomiche delle Langhe.
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